1969

Presentazione di Umberto Eco ad una mostra del Gruppo Stanza



Paolo della Bella, Fauve n° 1, 1968
china e tempera su carta - 70x50

 

Un gruppo di artisti giovani che si ponga il problema di un agire alternativo rispetto alle scelte culturali e alle condizioni di mercato esistenti, si trova di fronte a due ordini di problemi, il primo riguarda la natura del discorso figurativo e l’udienza a cui ci si rivolge; il secondo riguarda i canali mercantili esistenti e il loro superamento. Gli artisti del Gruppo Stanza si sono posti entrambi i problemi. Nel primo caso hanno (per la maggior parte di essi, ma la composizione del gruppo mi pare ancora spuria) scelto un tipo di discorso "diretto", quello del disegno che solo per convenzione chiameremo "umoristico", ma che in effetti è un tipo di disegno amaro, crudele, dissacratorio, che non lascia spazio per la risata o il sorriso liberatorio, bensì pone il fruitore in uno stato di disagio, di malessere, di consolazione frustrata. E' ancora - quello della frustrazione del sistemi di attese - il discorso dell’avanguardia in genere, ma la scelta del modulo umoristico (del modello, solo apparente, del cartoon) lo pone a un livello di comunicabilità maggiore, gli permette di superare il gap tra pubblico "colto" a e fascie più vaste di possibili fruitori di queste serigrafie.
Nel secondo caso il Gruppo Stanza si inserisce in quella che potremmo definire la battaglia dei multipli. Il multiplo tende a distruggere l’idea feticcio di opera unica, il cui valore, prima che estetico, è economico, basato non sulla qualità ma dulla rarità dell’opera; e tende ad aprire un mercato che si vuole "democratico", dato che qualsiasi appassionato, anche senza chiamarsi Guggenheim. può acquistare un oggetto di suo gradimento, collezionarlo, appendenlo. Però ritengo che, in entrambi i casi, il Gruppo Stanza a si avvolga ancora in una serie di contraddizioni, che sarebbe sleale non mettere in luce, prima perché si eviterebbe di fare il discorso critico che il gruppo stesso ha già iniziato, secondo perché lo si offenderebbe anteponendo una prefazione laudativa, come vuole la tradizione mercantile della critica, a un lavoro che si propone invece come scopertamente discutibile, discusso e stimolo di discussioni. La prima contraddizione è quella che si pone tra disegni immediatamiente consumabili (buoni per frustrare le attese di chi apre la pagina finale del rotocalco e vi cerca le sue barzellette rilassanti) e la scelta della senigrafia, del lavoro artigianale sulle finezze materiche, del gusto per gli spessori del colore e la grana della carta. Certo, nessuno (e sarebbe bassa e stupida demagogia il farlo) nega che un’opera grafica debba essere anzitutto uno stimolo piacevole, una festa per gli occhi di cui il fruitore vuole circondarsi perché anche la gioia è un elemento di liberazione, Ma quando l’opera gradevole, da guardare per la festa degli occhi, oltre che per l’eccitazione dell’intelligenza, diventa serigrafia preziosa chiusa in un libro, sfogliabile solo per esplicita decisione da chi lo trova sui tavolo del salotto, allora la serigrafia è di nuovo un oggetto prezioso da collezione. E quindi il Gruppo Stanza  dovrà decidere se i suoi omiciattoli martirizzatl. i suoi paesaggi sadici, il suo ragionevole disprezzo per i buoni sentimenti, dovranno rimanere appannaggio di collezionisti di gusto o invadere, che so, i muri delle strade, le piastrelle delle toelette, le vetrine della metropolitana.
La seconda contraddizione non è solo del Gruppo Stanza ma di tutta la corrente impegnata nella battaglia dei multipli. Perché un multiplo, per combattere la sua battaglia contro l’opera feticcio, deve essere anonimo e "consumabile", nel senso fisico della parola; come un manifesto, deve essere appeso sinché piace e poi buttato, sostituito con un altra immagine. Deve finire veramente di costituire un valore economico per ridursi (o elevarsi) a puro valore estetico o comunque intellettuale. Ma lo sappiamo, per fabbricare un multiplo che costi poco, occorre lavorare in serie, e dunque smerciare attraverso canali organizzati; e poiché i canali organizzati sono quelli delle gallerie, le quali si rivolgono ancora agli adoratori dell’opera unica, ecco che il multiplo continua ad essere firmato e numerato. Col che il mito dell’opera unica non viene eliminato, ma soltanto mitigato: invece del lavoro insostituibile per un solo ricchissimo mecenate, abbiamo il lavoro parzialmente sostituibile per una serie di piccoli mecenati di mezza tacca. Come fare una rivoluzione che, anziché rendere tutti i cittadini uguali tra loro, promuova un numero maggiore di piccoli borghesi al rango di piccoli feudatari.
Probabilmente la situazione attuale dei multipli costituisce un momento di passaggio tra il circuito delle gallerie,  "contestate" amabilmente dall’interno (come in una Opposizione di Sua Maestà) e un circuito diverso, di cui non si intravvedono ancora le possibilità. Anche se queste possibilità esistono, e si chiamano volantino, manifesto, scritta e disegno sui muri, foglio di battaglia. Ma come chiedere gesti così eroici ad artisti che debbono pur vivere del loro lavoro?  La contraddizione non è nelle scelte dell’artista, ma nella stessa posizione dell’artista in una economia di mercato (forse, dall’inizio dei secoli, nella posizione ambigua di ogni artista nella società). In ogni caso tutti questi problemi esistono. E compito di una introduzione a un catalogo di una mostra, che si pretende diversa, è oggi anche quello di indicare i motivi di principio per cui dovrebbe essere più diversa ancora.  

 

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