Mostra Personale al Parlamento Europeo di Strasburgo

con il Patrocinio della Regione Toscana
11-16 gennaio 1999

Catalogo a Cura di Laura Corti

Introduzione di Antonio Paolucci
Interventi di Riccardo Nencini e Vannino Chiti

 

INTRODUZIONE

Esiste una simmetrica eleganza, un misterioso rispecchiamento nel destino delle cose. A Strasburgo, Parlamento d’Europa, nell’anno che chiude il secolo e il millennio, un artista italiano presenta una mostra affascinante, giocata sul filo gioioso dell’ironia e del disin- canto. Il secolo si era aperto con le avanguardie eversive che disarticolavano il vecchio mondo e con- testavano i principi consacrati, mentre fiammeggiavano all’oriz- zonte le rosse e nere bandiere della Rivoluzione. Marinetti voleva bruciare i musei e abolire il chiaro di luna, Majakovskij proclamava, nella poesia, il primato della radicalità politica. («...e noi con il revolver in mano e il pensiero di Lenin ben fisso nella testa..»). Alla fine del percorso il secolo si chiude, un po’ dappertutto nello scenario internazionale, con proposte d’arte riflessive e individualiste, ora minimaliste, ora citazio-niste, ora ironiche o autoironiche, nella certezza che la Rivoluzione non ci sarà mai più, nel dubbio che il Paradiso probabilmente non c’è. Forse non c’è mai stato.  Paolo della Bella che pure ha vissuto (in anni che sembrano a questo punto lontanissimi) gli ultimi fuochi dell’Utopia e della Radicalità, partecipa ora del condiviso Disincanto e ne fornisce testimonianza con una mostra che indica - nell’allegria dei colori, nell’intreccio leggero dei sogni - la sua uscita di sicurezza. L’arte è una uscita di sicurezza. Chi conosce il percorso e trova la chiava (della Bella l’ha trovata per sua e per nostra fortuna) si salva. A mio modo di vedere è questo il messaggio che stringe in emblema, alla fine del secolo, la mostra di Stasburgo. Breton, maestro del surrealismo, diceva che le coincidenze (quelle che noi chiamiamo coincidenze) sono indicatori di un ordine sepolto; incomprensibile, per ora. Forse c’è un motivo se questa mostra che è un involontario manifesto del modo di essere artisti e di fare arte oggi in Europa, prende forma proprio nel Parlamento di Strasburgo, proprio in questo anno ’99 che proclama la conquistata unità del Continente. Per fortuna Paolo della Bella è Don Chisciotte (utilizzo il titolo di una sua opera del 1995) ed essendo Don Chisciotte può traguardare senza paura il «Futuro esclusivo», aggirare le «Seduzioni pericolose», incantarsi di fronte agli «Ultimi tanghi», ai «Dispensatori di fandonie», ai «Ritratti impossibili». Il gioco delle citazioni dal catalogo di della Bella mi induce a concludere con «Finalmente la leggerezza», titolo di un’altra opera del ’96 nella quale contempliamo il frantumarsi soave di una cosa. Un sogno disarticolato e colorato, come visto al rallentatore. Finalmente la leggerezza! Da intendersi come affettuoso disincanto, come ironico inventario del nostro destino. Non saprei trovare epigrafe più appropriata per definire con tre parole l’arte di Paolo della Bella.

                                                                                                               Antonio Paolucci

 

Interventi

                           

"Il nuovo non s'inventa, si scopre" (1995)


    
Paolo della Bella è scrittore, poeta e pittore ma soprattutto è un artista artigiano di quella tradizione antica che rese unici i borghi della Toscana e dell’Italia intera in tempi ormai lontani. Nella vita ha fatto di tutto purché quel tutto facesse il paio con l’arte, con l’immaginazione, con la fantasia del creare e del costruire incessantemente. In questa ricerca, infinita e dunque incompiuta, non è impossibile trovare almeno un se-gno d’unità con la storia di questa Europa. Anche la fanciulla Europa, figlia di Agenore, si lasciò attrarre dalla bellezza del toro bianco, da un magnetismo che la costrinse a correre le onde del mare fino a Cre-ta. Fantasia e bellezza la catturarono per sempre. Da quei secoli mito-logici, messi per iscritto da Esiodo agli albori della civiltà greca, l’Europa ha sempre rappresentato l’idea della civiltà, della ricerca, della conoscenza, dell’esperimento e della creatività. E sempre nell’incontro tra culture diverse, spesso antagoniste. Paolo della Bella condivide particolarmente la citazione «il nuovo non s’inventa, si scopre».  Ed ha ragione. Dalla «scoperta» delle diversità e dunque dal confronto, la cultura europea ha tratto immensi benefici. Alessandro orientalizzò l’ellenismo e la romanità ne fu intrisa, e non solo nelle forme esteriori; il cristianesimo si sviluppò inizialmente soprattutto sull’altra sponda del Mediterraneo; l’Europa di Carlo Magno intraprese relazioni con l’impero di Bisanzio; Venezia e Genova trafficarono con quei mari e con quelle genti.... Il nuovo fu ed è partorito dalle conoscenze del passato, dalla fantasia e dalla ragione del presente. Amava dire Bacone: «Gli antichi ci sovrastano ma noi possiamo salire sulle loro spalle» e guardare più lontano. L’Europa in fondo è figlia di «quel sogno fatto alla presenza della ragione» così caro al protagonista della mostra d’inau-gurazione del nuovo anno parlamentare in Strasburgo. L’Europa presente, dai confini che vanno stabilizzandosi lungo un orizzonte mai conosciuto prima, solo pochi anni fa poteva apparire un sogno donchisciottesco, una chimera, una conquista impossibile ed impraticabile. Eppure la ragione dei popoli e degli statisti ha trasformato il sogno in una terra che sfuma le barriere nazionali, abbatte le rigidità linguistiche e monetarie, mette al bando la guerra tra gli stati, sceglie la via democratica delle libertà e dei diritti. Il Don Chisciotte di della Bella è l’Europa del passato e quella del futuro, nel moto perenne delle genti e delle loro comunità in cammino, e la lancia è la sfida...la sfida alla conservazione, all’egemonia della ragione sulle passioni. «Creare, non imitare» - urlava Malevic. Già!

Riccardo Nencini
 


Il disordine dei simboli (1997)
 

 

Una mostra europea di un artista toscano contem- poraneo è un evento im- portante. In primo luogo perché l’esposizione offre ai concittadini del nostro Continente una prova della vitalità e degli umori di un popolo che non si ac- contenta di gestire la grande eredità del passato, ma cerca di interpretarla alla luce di nuove esperienze e di nuove speranze. In secondo luogo, l’opera di Paolo della Bella da è anche il racconto di una generazione che ha accompagnato con l’impegno dei suoi mezzi espressivi la crescita democratica del nostro Paese: sperimentando e immaginando. Scorrendo le tappe più importanti della biografia umana e artistica di della Bella vi troviamo anche una parte di noi, di ciò che abbiamo voluto con tutte le nostre forze e delle convinzioni interiori che si sono sedimentate vivendo intensamente grandi mutamenti epocali. E il messaggio che la mostra ci dà all’alba del terzo millennio sta in quella esplosione di colori e di gioia fanciullesca che corrisponde, come dice l’artista, alla fiducia che ciascuno ha diritto a un suo “futuro esclusivo”.Purché riesca a mantenere l’ironia come lo strumento principale per raggiungere un equilibrio interiore: il magico flauto di Mozart. Mi sembra che qui si esprima la “toscanità” di della Bella. La curiosità che lo ha portato a sperimentare le più diverse tecniche espressive (disegni, fotografie, serigrafie) è la virtù che possiedono i nostri artigiani. Così come profondamente toscana è l’affermazione di un’individualità, quale un artista per definizione rappresenta, che cerca, però, il confronto con gli altri: li sfida, si allea con loro se trova consonanze e obiettivi comuni. Tanto più ciò avveniva negli anni della sua maturazione artistica, in quel ‘68 che chiedeva a tutti di uscire fuori dal proprio particolare per partecipare alla costruzione di più avanzati equilibri di convivenza. Anche questa è una specificità della nostra terra: la presenza di “individualità di gruppo”, che da noi non è una contraddizione in termini, ma un motore che ha prodotto esperienze collettive che hanno superato i confini nazionali. Penso alle grandi riviste di questo secolo, tra le quali c’è anche Ca Balà, fondata nel 1971 dal Gruppo Stanza creato da della Bella insieme con  Berlinghiero Buonarroti e Graziano Braschi. Ca Balà, ovvero la “satira come arma politica” come diceva il suo programma-slogan, è stata la madre di quel filone che ha dato il suo importante contributo (Il Male, Tango, Cuore) alla rottura di dogmi e di rituali che faticavano a mascherare la crisi di un sistema di valori e di equilibri politici ormai esauriti: “La satira ha un senso - è scritto nell’introduzione a un’antologia del foglio umorgrafico pubblicata nel 1977 - se è permeata di immaginazione, capace di portare alla luce i rapporti celati che tengono in piedi la nostra società, alimentando il dubbio sulle loro necessità e tallonando nello stesso tempo il lettore con il peso - speranza dell’utopia”. Che cosa resta oggi di quell’esperienza? Ce lo dice proprio quel bel Don Chisciotte, dipinto da della Bella in omaggio a Picasso, che campeggia sulla copertina di “Bugie Vere”, un libro del 1994 che rappresenta il manifesto della sua sensibilità artistica: il cammino continua con la serena saggezza della maturità. Sempre, tuttavia, mantenendosi su quel confine creativo espresso dal titolo dell’esposizione: un sogno fatto alla presenza della ragione. È significativo, dunque, che la mostra di della Bella si tenga nella sede del Parlamento europeo di Strasburgo, il luogo che rappresenta fisicamente il grande sogno europeo che si sta realizzando con la caduta dei confini e l’avvio del più audace progetto di integrazione che sia mai stato concepito, l’unione monetaria. A far sì che questo sogno diventi patrimonio di tutti l’immaginazione critica dell’arte continuerà a dare un contributo prezioso. Quella di della Bella porta con sé anche il mondo dei valori della gente Toscana.

                                                                                                                  Vannino Chiti

 
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